Non c’è più speranza: fine dello sciopero della fame a Ponte Galeria

Non c’è più speranza: fine dello sciopero della fame a Ponte Galeria
Roma, 8 marzo 2010
 
Sono giorni difficili a Ponte Galeria, i reclusi che stavano facendo lo sciopero della fame a un certo punto non ce l’hanno fatta più e hanno smesso: «Solo in due o tre stanno continuando, ma per problemi personali. Noi altri abbiamo smesso perché la gente, ormai, ha cominciato a mollare. Non c’è più speranza».
«I motivi della protesta sono tanti: sia per la vita qui dentro, sia per il tempo che dobbiamo passare: sei mesi sono troppi». E poi il cibo «è una schifezza, non si può mangiare: io per esempio in due mesi ho perso otto chili e adesso ho paura di andare alla bilancia».
La vita dentro quel lager è una tortura continua: una tortura mentale, una tortura psicologica.
Con l’arrivo dei nuovi gestori non è cambiato nulla: è cambiata la gente – dalla Croce rossa ad Auxilium – ma la regola è sempre quella, anzi forse qualcosa è peggio. Il cibo è sempre scaduto e privo di vitamine, mentre il riscaldamento continua a essere fuori uso.
La nuova cooperativa ha assunto anche degli immigrati per lavorare nel centro: bengalesi, africani… ci sono anche un giordano, un siriano e una ragazza marocchina. Erano disoccupati e ora hanno un lavoro, perciò sono felici e non si pongono troppe domande. Del resto, se non avessero questa "opportunità", anche loro domani potrebbero ritrovarsi rinchiusi in un Cie.
Un altro recluso, che ha deciso di continuare a oltranza lo sciopero della fame, spiega come si sopravvive con due sole bottigliette d’acqua da mezzo litro al giorno. Si tratta di un uomo che vive in Italia da quattro anni e fuori c’è la sua famiglia che lo aspetta. Accanto a lui c’è un altro recluso, di circa vent’anni, che dopo dieci giorni senza mangiare ormai sembra «un morto che cammina». Del resto il cibo procura un effetto strano nel Cie: dopo aver mangiato viene subito voglia di mettersi a letto a dormire. Ovviamente, anche durante lo sciopero della fame, continua la somministrazione di psicofarmaci ai reclusi.
E poi questa legge è ingiusta – ripetono tutti – non è possibile che una persona che esce dal carcere venga riportata nel Cie, che è «peggio di un carcere». Ti buttano qua «come un animale».

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Nella tua città c’è un lager n. 12

NELLA TUA CITTA’ C’E’ UN LAGER. Bollettino bisettimanale sulle vicende che si susseguono nei Centri di Identificazione ed Espulsione per immigrati, i lager del nuovo secolo.
 
 

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GORIZIA – 8.03.10: Notte insonne a Gradisca

Notte insonne a Gradisca
Gorizia, 8 marzo 2010

Ieri sera le celle dei detenuti del Cie di Gradisca sono state chiuse alle 19.30, solitamente li chiudono intorno alle 23.00. Nel frattempo i militari in servizio sono saliti sul tetto, rimanendoci per gran parte della notte, dando colpi e facendo rumore, battendo con sbarre di ferro sulla lamiera. Ai reclusi, che nella notte hanno reagito con una protesta rumorosa, è stato permesso di uscire solo alle 10.30 di questa mattina. Usciti dalle celle si sono ritrovati chiusa la porta della sala telefono.
I reclusi sostengono che si tratta dell’ennesima provocazione delle guardie che da tempo cercano di provocare una loro reazione per giustificare i pestaggi. A quanto pare sono parecchio nervosi e non vedono l’ora di alzare le mani.
Inoltre raccontano che due giorni fa un ragazzo è stato messo in isolamento in seguito a una chiacchierata avvenuta tra i reclusi e il direttore del Cie. Il direttore avrebbe riferito alle guardie che il ragazzo che ora è in isolamento aveva avuto da ridire sull’operato dei militari.
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Aggiornamenti sullo sciopero della fame nei Cie

A Corelli, dopo giorni di sciopero della fame i detenuti e le detenute cominciano ad essere debilitati ed indeboliti. Ad alcune ragazze del reparto trans sono state fatte flebo di liquidi; una è stata portata in ospedale. I detenuti hanno fatto la richiesta per esser pesati e
controllati costantemente da personale medico, come è prassi durante ogni sciopero della fame, ma questo, nel centro di Corelli, non
avviene. Tuttavia, nonostante le difficoltà, i reclusi continuano con
determinazione, supportati anche dalla solidarietà degli antirazzisti
che continuamente portano acqua e succhi al centro e mantengono
ininterrottamente i contatti. Anche a Roma una
ventina di reclusi continua lo sciopero. I gestori portano il cibo e
loro lo rimandano indietro. Alcuni che avevano iniziato autonomamente
lo sciopero qualche giorno prima degli altri oramai sono 10 giorni che
non mangiano e sono molto provati. A differenza che a Milano i reclusi
sembra che siano pesati e monitorati regolarmente ma la nuova
cooperativa subentrata alla Croce Rossa nella gestione del centro non
permette che i solidali portino i succhi e le bevande dall’esterno.
Ciascun recluso ha in dotazione solo un litro d’acqua al giorno diviso
in due bottigliette da mezzo litro, una la mattina ed una la sera. E
solo con questo portano avanti la loro lotta. A Torino intanto lo
sciopero continua a staffetta. Bologna invece è un caso a parte. Dopo
due giorni che non si avevano più notizie da dentro i reclusi hanno
risposto alle chiamate dei solidali. Lo sciopero si è interrotto dopo
il primo giorno, tranne che per un recluso che continua il suo sciopero
della fame in solitaria e per motivi personali. Il motivo di questa
difficoltà è presto detto: in questo cie infatti
sembra sia una prassi quella di drogare con tranquillanti il cibo dei
reclusi, al punto tale che ogni volta che li si chiama rispondono del
tutto intontiti ed addormentati, quale che sia l’ora del giorno in cui li si senta.

 


Di seguito riportiamo alcune dichiarazioni raccolte dalle sezioni trans del cie di Corelli.

 

“Siamo in 20 persone che stiamo facendo lo sciopero della fame. In ogni stanza siamo in 4 persone. I muri son pieni di muffa le lenzuola vengono cambiate una volta alla settimana mentre le coperte non vengono mai cambiato. Ogni 15 giorni ci danno un bagnoschiuma. Alla sera dobbiamo pulire noi la stanza con la scopa e il secchio. Le finestre sono senza tende così la mattina presto entra la luce. Noi siamo obbligate a mettere le coperte sulla finestra per dormire. Il bagno è uno schifo. E’ molto sporco. Gli
scarichi son tutti intasati, dobbiamo fare per forza i nostri bisogni
in piedi. Alle 8 e mezza di mattina ci portano un bicchiere di latte e
una brioche. Non possiamo bere le cose calde se
non con la macchinetta a pagamento. Il cibo è molto scadente, ci
portano spesso il tacchino. Noi che abbiamo il silicone non possiamo
mangiare il tacchino. Per questo a molte di noi sono venute
infiammazioni alle protesi ai fianchi al seno nei glutei. Quando
andiamo alla croce rossa per i nostri problemi di salute ci danno dei tranquillanti per togliere il dolore, ma queste gocce ci fanno addormentare. Quando abbiamo troppo dolore ci danno la tachipirina.”

 

“Io mi chiamo […] sono qua da una settimana. Ho subito iniziato lo sciopero della fame perché non possiamo stare qua 6 mesi. Inoltre
sono sieropositiva, avevo da fare gli esami del sangue per valutare
quali medicamenti prendere invece son stata portata qui e mi hanno
fatto saltare la visita. Ho avuto tre giorni la febbre molto alta.
Stavo così male che mi hanno portato in ospedale al policlinico per un
blocco intestinale. Dopo di che mi hanno riportato in Corelli sempre
senza le medicine per l’hiv. Io sono in Italia da nove anni, mi sono
ammalata in Italia e non posso stare qua dentro. Abbiamo bisogno di
mantenerci e di mantenere la nostra famiglia al paese. Noi vogliamo la
nostra libertà perché non abbiamo fatto nulla e ci obbligano a stare
qua dentro senza potere fare nulla. C’è una psicologa che viene dentro
una volta alla settimana, ma tanto alla fine ci danno sempre 30 gocce
di Valium o per dormire e via…poi diventiamo tutte dipendenti”

 

“Io ho avuto un incidente  molto grave fuori da qua. Ero ancora in cura con la fisioterapia e invece mi hanno presa e portata al cie. Mi ero fratturata la
scapola sinistra il femore e il ginocchio. Qui spesso la ferita alla
gamba mi si infiamma. Vado in infermeria, mi danno una crema idratante
e basta. Molte di noi sono state prese a Pisa, chi ci viene a trovare
ha diritto a 7 minuti di colloquio dopo 5
ore di viaggio… È pieno ovunque di scarafaggi e vermi nei water e nella
doccia. La polizia ci maltratta, ci trattano come cani, ci insultano
dicendo che siamo tutti gay, fanno battute sessiste nei nostri
confronti. Quando diciamo cose che non gli vanno bene ci danno
schiaffoni in faccia, per qualunque cosa ci aggrediscono e ci trattano
come se non fossimo come esseri umani, con totale disprezzo. Sappiamo
che una trans a Natale s’è suicidata qua dentro… c’è una ragazza dentro
da quattro mesi che ha visto quello che è successo quando la ragazza si
è suicidata e ora è del tutto fuori di testa, perché una persona
normale non può sopravvivere qua dentro e molti vedono come unica
uscita la morte… Ci sono persone con casi psichiatrici e dobbiamo
vivere tutti assieme in una situazione di conflitto, con diverse
patologie tutti assieme e qua entro siamo costretti a convivere con
malattie diverse, neppure in carcere è così.”

 


E una testimonianza dal reparto donne:

 

“Mi
chiamo […] vi racconterò la mia storia. Sono arrivata in Italia come
turista perché mi piaceva molto questo paese. L’ultima volta mi ha
fermato la polizia, mi hanno chiesto il permesso di soggiorno. Io  avevo
solo il visto come turista ma mi hanno portato in questura dove son
stata 3 giorni e poi in Corelli. Mi hanno presa il 26 gennaio e avevo
in tasca il biglietto dell’aereo per tornare in Brasile il 16
febbraio…beh son ancora qui. Ora dovrò uscire da questo paese come una
criminale, scortata dai poliziotti. Non immaginavo che in Italia
potesse esistere un posto come questo. Mi sento inutile, sto molto male. Ci trattano come animali, e questo è solo l’inizio… dovremo fare sei mesi in questo inferno per poi uscire di qua con un’espulsione per dieci anni.

 

Chiediamo a tutti che ci ascoltino che anche se ci dicono clandestini siamo gente di buon cuore. Siamo venuti in cerca di una vita migliore. Stiamo
facendo lo sciopero per fare capire alla gente che siamo esseri umani e
abbiamo il diritto di vivere qua come tutti gli altri e che non ci
possono togliere la libertà. Ci dovrebbero esser altri modi per
ottenere questo pezzo di carta senza passare da questo inferno. È
veramente una legge ingiusta, non so chi l’ha inventata e non vogliamo
rispettarla. Per noi l’unica opzione che abbiamo è lottare.”

 

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Una settimana di lotte nei Cie. Silenzio Assordante, 5 marzo 2010

Una settimana di lotte fuori e dentro i Cie
Silenzio Assordante, 5 marzo 2009
 
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Nella prima parte della trasmissione:

 

Notizie sulla settimana di lotte all’interno dei Cie, iniziata nella notte tra domenica e lunedì primo marzo. Proprio mentre fuori si svolgevano le mobilitazioni contro il razzismo e lo sfruttamento del lavoro migrante, nel Cie di Ponte Galeria si insediavano i nuovi gestori e scoppiava la rivolta. Subito dopo, il 3 marzo, i reclusi del Cie di Milano hanno iniziato uno sciopero della fame che si è esteso immediatamente ai Cie di Torino, Bologna, Gradisca e Roma.
 
Un compagno del comitato antirazzista milanese racconta il presidio che si è svolto oggi pomeriggio davanti al Cie di via Corelli a Milano, per sostenere i reclusi e le recluse in sciopero della fame, facendo arrivare dentro delle bevande che non siano "dopate", a differenza di quelle somministrate dai gestori del centro.

 

Anche nel Cie di Ponte Galeria, a Roma, i reclusi sono in sciopero della fame da tre giorni. Un compagno ci aggiorna su come procede la protesta dentro e sulle iniziative di solidarietà all’esterno. Anche nella capitale gli antirazzisti e le antirazziste si stanno attivando per far arrivare delle bevande ai reclusi. Inoltre invitano tutti e tutte a partecipare al presidio che si svolgerà davanti al Cie di Ponte Galeria sabato 13 marzo, a partire dalle 11.00 del mattino, con i microfoni aperti per chiunque voglia contribuire a far sentire la propria solidarietà all’interno e a scavalcare quelle mura.

 

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Nella seconda parte della trasmissione:

 

Una compagna di Noinonsiamocomplici, la campagna di azione e controinformazione contro la violenza sulle donne migranti fuori e dentro i Cie, presenta le mobilitazioni previste per domani a Modena, dove si trova il Cie in cui è rinchiusa Joy. A pochi giorni dall’8 marzo, si svolgeranno un presidio e un volantinaggio nel centro della città, per spiegare che spesso le donne recluse nei Cie sono vittime di tratta e che hanno subito molteplici forme di violenza maschile: da parte degli sfruttatori e dei clienti all’esterno, e da parte della polizia e degli operatori degli enti gestori all’interno dei centri.

 

Uno dei compagni torinesi che attualmente è agli arresti domiciliari parla della repressione che ha colpito gli antirazzisti a Torino il 23 febbraio scorso, a causa della loro attività a sostegno delle lotte degli immigrati e delle immigrate nei Cie, e dell’attacco nei confronti di Radio BlackOut: «delinquente è chi ha creato i Cie», dove le persone sono rinchiuse solo perché non hanno i documenti, non gli antirazzisti che cercano di fare un’attività il più efficace possibile contro i Cie.

 

Una redattrice di Radio OndaRossa racconta cosa sta succedendo alle famiglie rom che erano state letteralmente deportate dal campo di Salone verso il Cara (centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Castelnuovo di Porto. Stamattina i gestori in divisa del centro (cioè gli operatori della Croce rossa) hanno abbattuto le porte e i lucchetti delle stanze di queste famiglie, buttando fuori tutte le loro cose. Evidentemente c’era bisogno di fare spazio per dei nuovi arrivati…

 

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In serata arriva in radio una telefonata. Un gruppo di antirazziste e antirazzisti di Roma ha cercato di portare delle bevande ai reclusi del Cie di Ponte Galeria in sciopero della fame. La direzione del Cie, che da lunedì scorso è passata dalla Croce rossa alla cooperativa Auxilium, non ha permesso di far entrare nemmeno un succo di frutta. Nel frattempo però apprendiamo qualcosa di nuovo su come si possono sfruttare meglio gli immigrati all’interno di un Cie…
 
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MODENA – 06.03.10: presidio contro i Cie

 
Sabato 6 marzo alle 16.00
in piazza Torre/Emilia a Modena

presidio di Libera e volantinaggio di Noinonsiamocomplici contro il razzismo,
in solidarietà a Joy rinchiusa nel Cie di Modena
e a tutti/e i/le migranti in sciopero nella fame nei lager di Stato
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MILANO – 05.03.10: davanti al Cie di via Corelli

News dai CIE, 4 marzo 2010
Un’appello alla mobilitazione

Mentre in tutta Italia si svolgevano le mobilitazioni di piazza in occasione del 1° marzo, contro il razzismo e il neo-schiavismo che si accaniscono contro gli immigrati, la lotta dentro i CIE ha ripreso il suo cammino.
In realtà un cammino che non si è mai interrotto e che, anzi, si è via via intensificato a partire dal varo dell’ultimo pacchetto sicurezza del governo Berlusconi l’8 agosto 2009.
L’attuale protesta ha preso corpo nel CIE di Ponte Galeria (Roma) domenica sera, in seguito a nuove e ulteriori restrizioni sulle ore d’aria a disposizione dei detenuti, apportate dalla cooperativa Auxilium, subentrata alla Croce Rossa nella gestione del centro. I detenuti del Cie di Roma si sono immediatamente rivoltati incendiando materassi e sciarpe.
Quando i detenuti del Cie di Corelli hanno saputo dell’accaduto a Ponte Galeria, si sono riuniti in assemblea ed in tutte le sezioni è stato proclamato lo stato di agitazione sotto forma di sciopero della fame (il comunicato di rivendicazione pervenutoci dai detenuti di via Corelli lo potete leggere qui).
Tramite continue consultazioni fra i vari CIE si è quindi allargato ulteriormente il fronte di lotta a livello nazionale; da ieri sono in sciopero: Ponte Galeria-sezione A, MIlano, Bologna, Gradisca e da oggi Torino-sezione gialla.
Non è certo la prima volta che ci troviamo ad intervenire a sostegno di questa o altre forme di lotta adottate dai prigionieri dei CIE. Lotte certamente disperate, costrette a scontrarsi con lo strapotere degli apparati repressivi che lo stato scaglia loro addosso, costrette a subire l’isolamento e talvolta l’osctracismo di una "società civile" talmente arretrata da non voler guardare in faccia la realtà dei rastrellamenti e dei nuovi lager, costrette a far forza solo su sè stesse e sul sostegno degli antirazzisti radicali che, a costo della propria libertà (come nel recente caso dei compagni torinesi imprigionati per "reato associativo d’opinione", oppure del processo che il 26 marzo si svolgerà contro diversi antirazzisti milanesi per "manifestazione non autorizzata sotto via Corelli"), si ostinano ad urlare che quei luoghi infami rappresentano una violenza inaudita per gli immigrati che vi vengono imprigionati e, allo stesso tempo, una minaccia per l’insieme della società.
Lo sciopero si sta strutturando con l’intenzione di proseguire in forma collettiva. E’ fondamentale pertanto che dall’esterno giungano liquidi sostanzionsi che diano loro un minimo di forza per proseguire (p.e. succhi di fruttta) evitando, al contempo, le droghe elargite dai gestori del centro per sedare i prigionieri e le loro proteste (Valium, nella fattispecie, che viene introdotto nei cibi e nelle bevande. Non a caso anche questo aspetto rientra nelle rivendicazioni dei detenuti in lotta.
Noi raccogliamo il loro appello e lo inoltriamo a tutti coloro che si sono mobilitati, anche di recente, per la chiusura dei CIE.

Appuntamento per domani, venerdì 5 marzo ore 16,30, all’ingresso del CIE di via Corelli.


Siate numerosi ….e solidali
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Secondo giorno di sciopero della fame nei Cie

I reclusi e le recluse del Cie di via Corelli a Milano continuano
con grande determinazione lo sciopero della fame iniziato ieri, contro
il prolungamento della detenzione fino a sei mesi, contro le terribili
condizioni di vita nel Cie e in solidarietà con i redattori di Macerie
arrestati a Torino solo perché dicono la verità.

Sono in continua comunicazione con gli altri Cie e questo li rende ancora più forti.
Nella giornata un gruppo di solidali ha portato loro dei succhi di frutta e altre bevande.

Oggi è iniziato lo sciopero della fame anche a Torino, dove ha aderito tutta la sezione gialla.
A Roma continua lo sciopero della sezione A, come a Bologna e a Gradisca.
A Bari i reclusi si sono riuniti in assemblea per decidere cosa fare…

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MILANO – 3 MARZO 2010: Siamo stanchi di non vivere bene

“Siamo stanchi di non vivere bene. Viviamo come topi. La roba da mangiare fa schifo. Viviamo come carcerati ma non siamo detenuti. I tempi di detenzione sono extra lunghi perché 6 mesi per identificare una persona sono troppi. Siamo vittime della Bossi Fini. C’è gente che ha fatto una vita in Italia e che ha figli qua, gente che ha fatto la scuola qui e che è cresciuta qui. Non è giusto. Non siamo delinquenti.
L’80 per cento di noi ha lavorato anni per la società italiana e si è fatta il culo. I veri criminali non ci sono qui. Una settimana fa uno di noi ha cercato di suicidarsi. Poi sono arrivati i poliziotti coi manganelli per picchiarci come criminali o animali. Siamo stanchi di questa vita. Vogliamo essere liberi come dei gabbiani e volare. Però sei mesi sono troppi per un’identificazione, qui è peggio, peggio della galera. La gente uscita dal carcere viene riportata qui altri sei mesi dopo che ha pagato la sua pena, non è giusto. La gente che ha avuto asilo politico dalla Svizzera o da altri stati in Europa e del mondo qui in Italia non li accettano, non è giusto. I motivi dello sciopero è che i tempi sono troppo lunghi e abbiamo paura perché due di noi sono morti dopo che sono stati espulsi altri sono pazzi e noi non sappiamo cosa fanno loro dopo l’espulsione, e per andare ti fanno le punture e diventi pazzo, alcuni muoiono. Entrando qui eravamo tutti sani e poi usciamo che siamo pazzi. Inoltre rimarremo in sciopero fino a che non fanno qualcosa per quelli arrestati di Torino che hanno fatto tante cose per noi e che ora son in carcere. Come scrive Dante il grande poeta Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.
Questo è il comunicato che i reclusi nel Cie di via Corelli a Milano hanno scritto ieri per rivendicare il loro sciopero della fame.
Da ieri infatti tutte le sezioni del Cie, maschile, femminile e transessuale, sono entrate in sciopero per protestare non solo contro la loro reclusione, i maltrattamenti e le terrificanti condizioni in cui sono costretti a vivere, ma anche in solidarietà con con chi a Torino il 23 febbraio è stato arrestato per attivita’ antirazzista; di cui due, ci teniamo a specificarlo, sono i redattori stessi di questo sito.
 
 
Aggiornamento della sera del 3 marzo 2010

Nel corso della giornata la protesta si è estesa anche ai Cie di Bologna, Modena, Gradisca d’Isonzo, Torino e Roma.

 

 
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ROMA – 3 MARZO 2010: Pigneto, via Campobasso: 11 arresti in 3 giorni

PIGNETO, VIA CAMPOBASSO: 11 ARRESTI IN 3 GIORNI
La repressione tutti i giorni…
Comunicato della conunità senegalese di via Campobasso
 

Oggi 3 marzo, mercoledì, alle ore 9,00 sentiamo l’elicottero sulle nostre teste. A distanza di un solo giorno tornano le guardie a Via Campobasso, dove viviamo ai civici 16-18 da circa 20 anni.
arrivano 2 macchine della polizia, guardano i nostri fratelli all’angolo tra via Campobasso con via del Pigneto. Li fermano e li perquisiscono senza dare spiegazioni. Trovano dei mazzi di ciavi e soldi. Era presente anche la finanza che si allontana solo quando è la polizia ad entrare nel nostro stabile. Con un martello grande a piede di porco sfondano le porte. Portano via la merce che vendiamo e 4 di noi, prendendoci dentro casa. Arriva anche la polizia con l’unità cinofila antidroga. Non trovano nulla, tranne un sacchetto bianco, che esibiscono per strada. Era crema. Portano via le merci e i notri soldi. La spiegazione che ci hanno dato è che cercavano droga. Per l’ennesima volta non trovano nulla. Noi siamo lavoratori, chi ambulante per scelta, chi per necessità. Non rubiamo, non spacciamo.
questa repressione ci sta colpendo come soggetti più deboli. Quale il reale scopo di tutto questo? Forse cacciarci di qua?
Due di noi, tra i quattro fermati di stamattina sono ancora in questura.Gli altri due sono stati rilasciati dopo pranzo.
 

LIBERI SUBITO
 

SUI FATTI DEL 1 MARZO A VIA CAMPOBASSO. 7 FERMATI
 

Lunedì 1 marzo, eravamo tranquillamente a casa quando un ragazzo senegalese ha fatto irruzione nel nostro palazzo chiudendo dietro di lui il portone che aveva trovato aperto. Era inseguito da due militari dell’arma in borghese, della squadra anti-droga, che hanno sfondato il portone e sono entrati con la pistola in mano. Un ragazzo che abita nel palazzo stava uscendo e vedendo l’accaduto ha chiesto spiegazioni, ma gli hanno risposto di non immischiarsi. Quindi, sulle scale al terzo piano hanno preso il ragazzo (presunto spacciatore) che stavano inseguendo e l’hanno consegnato ad altri operanti.
Poco dopo sono rientrati in forze nel palazzo e hanno portato via tutti gli inquilini dell’appartamento del terzo piano, sette persone. Li hanno caricati sulle macchine e portati nella Caserma dei Carabinieri di Casalbertone per poi rilasciarli dopo mezzanotte.
Proprio la scorsa settimana, sia durante un’assemblea al Nuovo Cinema Aquila, sia in un intervento su Radio Onda Rossa, abbiamo denunciato il fatto che da tempo stranieri fermati per spaccio, stanno falsamente dichiarando di abitare in via Campobasso. Le forze dell’ordine hanno quindi un’ulteriore scusa per colpirci per vie traverse, per controllarci, sequestrare le nostre merci commerciali e arrestarci in modo arbitrario e prepotente.
Sappiamo cosa avviene per le strade del nostro quartiere, così come lo sa benissimo chiunque abita al Pigneto e le forze dell’ordine. Chi spaccia nel quartiere non si nasconde e lo fa anche alla luce del giorno. Noi viviamo al Pigneto da più di 20 anni e non abbiamo mai avuto a che fare con storie di spaccio e sfidiamo le forze dell’ordine a dimostrare che chi viene arrestato per questo reato abita realmente in via Campobasso.
Non è giusto che la nostra comunità venga infangata in questo modo. Non è giusto che le persone vengano arrestate nelle loro case senza aver commesso nessun reato. Quello che temevamo si è avverato ieri. Ancora una volta, dopo quel violento 5 ottobre scorso, quando siamo stati arrestati in 27 e due di noi sono finiti in carcere per mesi, siamo bersaglio di un accanimento esasperante di controlli e arresti.
Facciamo gli ambulanti, chi per scelta, tanti per necessità, in questa città che diventa sempre più ostile. Non siamo né ladri nè spacciatori, cerchiamo di tirare avanti onestamente.
Anche sei nostri sette fratelli sono ora tutti liberi senza nessuna denuncia per traffico di stupefacenti a loro carico, queste vessazioni e continue provocazioni devono cessare.
 

Roma, li 02/03/2010
 

Comitato della Comunità Senegalese che abita in via Campobasso 16-18, Pigneto
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