Non c’è più speranza: fine dello sciopero della fame a Ponte Galeria

Non c’è più speranza: fine dello sciopero della fame a Ponte Galeria
Roma, 8 marzo 2010
 
Sono giorni difficili a Ponte Galeria, i reclusi che stavano facendo lo sciopero della fame a un certo punto non ce l’hanno fatta più e hanno smesso: «Solo in due o tre stanno continuando, ma per problemi personali. Noi altri abbiamo smesso perché la gente, ormai, ha cominciato a mollare. Non c’è più speranza».
«I motivi della protesta sono tanti: sia per la vita qui dentro, sia per il tempo che dobbiamo passare: sei mesi sono troppi». E poi il cibo «è una schifezza, non si può mangiare: io per esempio in due mesi ho perso otto chili e adesso ho paura di andare alla bilancia».
La vita dentro quel lager è una tortura continua: una tortura mentale, una tortura psicologica.
Con l’arrivo dei nuovi gestori non è cambiato nulla: è cambiata la gente – dalla Croce rossa ad Auxilium – ma la regola è sempre quella, anzi forse qualcosa è peggio. Il cibo è sempre scaduto e privo di vitamine, mentre il riscaldamento continua a essere fuori uso.
La nuova cooperativa ha assunto anche degli immigrati per lavorare nel centro: bengalesi, africani… ci sono anche un giordano, un siriano e una ragazza marocchina. Erano disoccupati e ora hanno un lavoro, perciò sono felici e non si pongono troppe domande. Del resto, se non avessero questa "opportunità", anche loro domani potrebbero ritrovarsi rinchiusi in un Cie.
Un altro recluso, che ha deciso di continuare a oltranza lo sciopero della fame, spiega come si sopravvive con due sole bottigliette d’acqua da mezzo litro al giorno. Si tratta di un uomo che vive in Italia da quattro anni e fuori c’è la sua famiglia che lo aspetta. Accanto a lui c’è un altro recluso, di circa vent’anni, che dopo dieci giorni senza mangiare ormai sembra «un morto che cammina». Del resto il cibo procura un effetto strano nel Cie: dopo aver mangiato viene subito voglia di mettersi a letto a dormire. Ovviamente, anche durante lo sciopero della fame, continua la somministrazione di psicofarmaci ai reclusi.
E poi questa legge è ingiusta – ripetono tutti – non è possibile che una persona che esce dal carcere venga riportata nel Cie, che è «peggio di un carcere». Ti buttano qua «come un animale».

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