ROMA – 12 AGOSTO: L’inferno di Ponte Galeria

E’ sempre tutto esaurito, stracolmo. Non è una sala del cinema dove si vedono sorrisi ed allegria, non è neanche una galera. E’ molto peggio. Un lager al centro d’Italia, nella capitale, “un posto farabutto, una discarica umana, dove ogni diritto è sospeso” disse Peppe Mariani, consigliere Regionale e presidente della Commissione Lavoro e politiche sociali del Lazio in un intervista a “Roma Today”, esprimendosi sul CIE di Ponte Galeria dopo una sua inaspettata visita dentro il centro. Sono affollati all’inverosimile, le famiglie vengono divise e le condizioni di vita sono difficili, troppo difficili per sopportare una vita simile.

Un sopralluogo a sorpresa in qualsiasi CIE d’ Italia e si potrebbe scoprirne la zona di orrore, quella della disperazione e della violenza. Tutto ciò a pochi passi dal nostro vivere quotidiano. Qualcuno è scettico e non riesce a credere in ciò che si racconta dei CIE, qualcun altro è indifferente con un cuore di ghiaccio. Spesso le autorità nascondono ciò che succede in quei posti orrendi, senza provare a dimostrare il contrario di ciò che si racconta, perché non ci sono prove per dimostrare l’efficienza dei centri. Tutto finisce in un tombale silenzio. Nessuno vuole far sapere ciò che accade lì dentro, è troppo rischioso, è troppo disumano,”le parole non bastano per descriverla. Si tratta di una struttura vergognosa, tenuta malissimo, sporca, dove l’igiene non esiste, dove il fetore rende l’aria irrespirabile, dove manca l’acqua, dove le persone non vengono assistite da un punto di vista sanitario, dove persino il cibo è scarso. Strutture del genere non dovrebbero esistere in nessuna parte del mondo.” Diceva Peppe Mariani.

E lì dentro, ci sono donne e uomini che non hanno mai commesso reati, sono in attesa di essere identificati e rispediti da dove sono scappati, per aver subito violenza fisica, economica e morale. Ora, queste persone potranno restare in quei lager fatiscenti anche per sei mesi e non oso immaginare cosa succederà lì dentro. “Mi chiedo: che senso ha una struttura umanitaria come la Cri all’interno del Cie se poi di umanitario lì dentro non c’è niente? L’assistenza sanitaria è inesistente. La struttura per di più costa una barca di soldi, senza produrre niente per la società.” Ribadiva Peppe Mariani.

Spesso ci si sente dire che alcuni settori non sono consentiti neppure al Garante dei detenuti. Ma chi può entrare e cosa nascondono per non portare alla luce del sole i loro segreti? In quelle doppie file di sbarre alte oltre tre metri e dentro stanze come tane per orsi, fatiscenti, urlano gridano e piangono uomini privi della loro libertà. Chi varca quei cancelli non ha i diritti che spettano ai detenuti né la dignità che spetta a ogni essere umano. Ponte Galeria è la sospensione della vita ed ogni detenuto deve sottostare alle regole dei loro carcerieri. “Man mano che giovani e meno giovani, nigeriani e bosniaci, rom e richiedenti asilo, tunisini e est europei ci si facevano incontro per parlare, raccontare, spiegare, chiedere, il funzionario di polizia Baldelli ha cominciato a spingerli, a intimare loro di farsi da parte, ci ha tolto di mano la penna con la quale stavamo prendendo appunti, ha preteso che gli consegnassimo il blocchetto, ci ha spinto verso l’uscita.” è il racconto di alcuni funzionari regionali in visita all’interno del CIE. Sempre questi ultimi raccontano che qualcuno si diverte su di loro, e non mancano toni deridenti “a un giovane che si lamentava di non poter nemmeno comperare un deodorante, Baldelli ha risposto, noi testimoni: Ma a cosa serve a te un deodorante?” racconta Meltingpot nella nota dal titolo “Lo sceriffo di Ponte Galeria”.

Le violenze all’interno dei CIE sono continue, testimoniate da tantissimi fatti di cronaca che raccontano storie raccapriccianti. Qualcuno non riesce a sopportare simili vessazioni e preferisce togliersi la vita piuttosto che consegnarla ogni giorno alle mani di un carceriere. Tutti ricordiamo il suicidio di Mabruka Mimuni, una donna tunisina di 49 anni che era in Italia da 20 anni. La donna il giorno prima alle sue compagne detenute rivelò: “Piuttosto che tornare nel mio Paese mi ammazzo. Mi vergogno troppo per quello che mi è successo”. Poi, di mattina, la scoperta del corpo senza vita. Si era ammazzata impiccandosi con una maglietta nel bagno della sua stanza.“Le condizioni esistenti all’interno dei Centri di identificazione ed espulsione sono incompatibili con i diritti umani. Il suicido della ragazza tunisina conferma questa realtà che ho visto con i miei stessi occhi durante la visita al Cie di Ponte Galeria di qualche mese fa” commentò così la presidente della Commissione Sicurezza e Legalità della Regione Lazio Luisa Laurelli.

Questo è stato uno dei tanti suicidi avvenuti all’interno dei CIE, molti di essi, a causa delle continue percosse che subiscono e della mancata libertà. Giovedì 25 Giugno l’ANSA riportava in una nota un pestaggio da parte delle forze dell’ordine nei confronti di quattro nigeriani, “ospiti” (così li chiamano) del Centro di identificazione ed espulsione. Questo fatto è stato raccontato da un giovane magrebino, anch’egli ospite del centro. I quattro nigeriani, dopo l’episodio, sono stati portati via ancora sanguinanti, senza sapere dove fossero stati trasportati. Ma questa notizia all’opinione pubblica non è arrivata.

Le sparizioni spesso sono denunciate dai migranti, il più delle volte rimangono inascoltate da chi può fare veramente qualcosa di concreto. Solo pochi giorni fa alcuni migranti reclusi nel CIE, hanno denunciato il pestaggio e la sparizione di un loro compagno, telefonando ad una radio, ma nessuna televisione di stato ne ha parlato, continuando a stare in silenzio per colpa di una politica faziosa ed arrogante.Questi abusi dei diritti umani invece, dovrebbero essere da prima pagina e dovrebbero indignare ogni singolo cittadino. Il racconto è apparso nel web da martedì scorso, quando un gruppetto di algerini era stato appena trasferito nel CIE di Roma da Bari. Tra di loro c’era anche un ragazzo gravemente malato di cuore, che durante la notte si lamentava e protestava. Alcuni carcerieri lo hanno portato in infermeria e poi nella cella di sicurezza senza procurargli i farmaci che doveva prendere ogni giorno. Nella cella di sicurezza, lo massacrano di botte per le sue continue lamentele. Durante la notte si sente malissimo, e il malato lascia il Centro a bordo di una ambulanza. La mattina dopo i suoi amici, che stanno raccontando in giro gli avvenimenti della notte, vengono raggruppati e portati via, in “isolamento” nel reparto delle donne.
Il CIE è divenuto un contenitore dove infilarci gli immigrati e tutti gli indesiderati, un perfetto lager del XXI secolo. Sporco, stracolmo e violento, senza che mai nessuno si sia degnato di aprire un fascicolo o di effettuare controlli seri e determinati. Chi esce fuori dal lager racconta che sono esperienze dure e rivelatrici, però senza nessuna sorpresa. Luigi Nieri in un articolo ha raccontato ciò che hanno visto i proprio occhi all’interno del CIE, “ un ragazzo brasiliano, nato a Roma, portato qui al compimento del 18° compleanno, che presto sarà spedito in Brasile, un Paese in cui non è mai stato. O quello di una donna maghrebina che, dopo aver scontato la sua pena a Rebibbia, ora è “detenuta” a Ponte Galeria. Ho visto, inoltre, un uomo anziano, in gravi condizioni di salute, sdraiato sul letto. Ogni volta per andare in bagno deve farsi aiutare da quattro persone. Non è questo il luogo in cui deve stare, questa struttura non è attrezzata a offrirgli adeguate cure mediche.”

Andrea Onori

http://periodicoitaliano.info/2009/08/12/linferno-di-ponte-galeria/

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