Corpi e terre di conquista
Razzismo, sessismo, politiche securitarie
ore 19:00 presentazione
Ogni venerdì alle 18:00 @ CSOA eXSnia
via Prenestina, 173
La dura limitazione imposta alla circolazione e alla ricerca di lavoro delle persone, in base alla loro provenienza geografica, gli impacci burocratici e giuridici per ottenere documenti indebolisce i rapporti di forza di chi emigra, tanto più le donne, che vivono una condizione di subalternità che potremmo definire “transculturale”.
Nell’Italia attuale il pregiudizio razziale ancora esiste e, nonostante lavori come La pelle giusta di Paola Tabet (Einaudi, 1997) abbiano fatto emergere la persistenza di stereotipi razzisti derivati dall’epoca coloniale nelle nuove generazioni, l’impresa coloniale italiana rimane, nella maggior parte delle narrazioni storiche, dominata dal mito degli italiani brava gente.
Nella prima fase del colonialismo italiano, i potenziali coloni maschi venivano allettati con espliciti rimandi alla “facilità” dei costumi sessuali delle donne africane. L’erotizzazione della donna “esotica” si colloca all’interno di una condivisa concezione del corpo femminile da intendersi come “bottino di guerra”, al pari di terre od oggetti. Si tratta di un corpo di cui poter disporre per il proprio piacere sessuale, la cui sensibilità e il cui piacere non ha rilievo, in quanto presentato come profferta spontanea ai conquistatori. In questo senso trovano legittimazione lo stupro di guerra e la prostituzione forzata. Unico limite imposto al godimento maschile deriva dal timore di “contaminazioni” razziali a dal proliferare di generazioni meticce. Il discorso razzista si sovrappone alla concezione esotica/erotica tentando di operare una modificazione nell’immaginario sulle donne africane, presentandole come “sporche, maleodoranti, soggette ad invecchiamento fisico precoce”. Ancora in primo piano il corpo, stavolta come oggetto di disprezzo, di rigetto.
Nell’attuale società italiana il corpo delle donne migranti è ancora costruito secondo le “regole” del duplice immaginario di cui sopra: il fiorente mercato della prostituzione, che vede i corpi di donne africane, in particolare nigeriane, come oggetti iper-sessualizzati in virtù della loro “peculiarità biologico-razziale”. Ma, senza giungere al caso della prostituzione, della tratta e della schiavitù, basti anche pensare alle molestie sessuali di cui sono vittime la maggior parte delle donne migranti che lavorano come badanti, collaboratrici domestiche, proprio ad opera di quei “bravi” uomini italiani e che, ovviamente, non vengono denunciati a causa del ricatto sul lavoro, o nel caso non si possiedano i documenti necessari ad una permanenza “legale” nel paese ospitante. Gli attuali provvedimenti che mirano a scoraggiare le interrelazioni etnico-culturali, quali il limite del 30% imposto alla presenza di alunni stranieri nelle classi scolastiche o le recenti restrizioni imposte ai matrimoni tra italiani e stranieri non comunitari, sembrano richiamarsi proprio a quelle misure volte ad evitare o limitare il “meticciato” introdotte in epoca fascista. Ed è importante rilevare come a queste misure faccia da contr’ altare l’esaltazione delle mansioni “femminili”, domestiche, procreative, educative, delle donne “nazionali”, italiane, bianche, secondo una prospettiva di sconcertante carattere eugenetico.
La costruzione culturale delle identità nazionali si serviva e tutt’ora si serve ampiamente della dominazione del corpo femminile: la retorica sulla difesa delle “proprie” donne dalle violenze perpetrate da stranieri; la “dominazione” dei corpi delle donne colonizzate o migranti. Ne conseguono il disconoscimento e la dis-identificazione delle soggettività ibride (meticce o migranti) e la costante induzione al comportamento xenofobo.
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