BOLOGNA – 13 OTTOBRE: Un autobus verso il CIE

Da http://marginaliavincenzaperilli.blogspot.com/

"Sapete dove porta questo autobus?", così esordisce una donna del gruppo di compagne, femministe e lesbiche, salite sul mezzo pubblico in centro aBologna. "Porta al Cie. E sapete cos’è un Cie?". E comincia a leggere unvolantino in cui si denunciano le violenze che le donne subiscono all’interno di questi lager per migranti.
Non è un caso che proprio oggi, in concomitanza con la sentenza del processo per la rivolta nel Cie milanese di via Corelli, a Bologna alcune donne abbiano deciso di andare sotto il lager bolognese di via Mattei, per rendere pubbliche le violenze che le donne migranti vivono all’interno di questi universi concentrazionari. Perché proprio durante un’udienza di quel processo una donna nigeriana ha pubblicamente denunciato il tentativo di stupro subito da parte dell¹ispettore capo e ora rischia un processo per diffamazione.
Ma a ben vedere già con la nascita dei Cpt ­ grazie alla legge Turco-Napolitano del 1998 ­ sono cominciate immediatamente ad emergere le molestie e le violenze che subivano le donne là dentro. Già il numero 0 di "Corelli anno zero" (quindi nel luglio del 1999!),  descrivendo la condizione di vita delle donne rinchiuse nel Cpt milanese, riporta una delle detenute ci racconta in lacrime che quando ha chiesto una scheda telefonica ad un agente questo ha risposto ­ riportiamo fedelmente "Va a fare un pompino come tutte le altre".
Quanti ricatti sessuali avvengano quotidianamente fra quelle mura blindate non ci è dato sapere, ma di tanto in tanto emergono violenze che sono lo specchio fedele di quei luoghi. E proprio per questo il gruppo di donne salito sull’autobus ha deciso di andare sotto al Cie per denunciare che questi lager, sdoganati in nome della nostra "sicurezza", sono in realtà
luoghi in cui la violenza contro le donne trova l’humus ideale, perché queste donne, come gli uomini rinchiusi lì dentro, sono delle non-persone.
"A chi chiedere l’autorizzazione per andare sotto un lager a dire che quello è un lager, se non a noi stesse?". Ma la digos non la pensa così e, dopo una mezzora chiama in soccorso tre volanti per convincere il pericoloso gruppo di feroci amazzoni a consegnare i documenti. "Vi abbiamo fatto fare il corteo contro l’omofobia senza problemi, no? ­ dice il digos mostrando di
non aver capito il senso di Stranabologna ­ ma questa volta non avete chiesto l’autorizzazione, quindi dovete darci i documenti". "Ramm’ ‘o documento ca si no po’ t’allamiente", il ritornello è sempre quello e ormai un po’ noiosetto.

Ma intanto lo striscione QUI SI STUPRA rimane inesorabilmente aperto, suscitando la curiosità di qualche automobilista che, nel tentativo di capire che stia succedendo, rallenta il traffico nevrotico dell’ora di punta su via Mattei. Un poliziotto in divisa scatta alle compagne una foto col cellulare. Lui e i suoi colleghi vengono immediatamente fotografati a loro volta. Intanto partono telefonate alle radio per raccontare la situazione, arrivano chiamate solidali, continuano gli slogan in italiano e in francese.
Ma chi le tiene queste donne?! Se qualcuno/a pensava che le discussioni su burqa e veli e sulle nostre sorti magnifiche e progressive ­ e soprattutto democratiche ­ avrebbero distratto tutte le donne da ciò che avviene nelle "quattro mura" (ma che coincidenza!) dei Cie, si è sbagliato/a di grosso. Rotta l’omertà sulla violenza in famiglia, rimangono tante altre omertà e complicità da rompere.
E non è che l’inizio …

Testo del volantino Noi non siamo complici


 

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